La moto rombava con violenza, fendendo l’aria in una folle corsa. Da sotto il casco, due occhi d’acciaio fissavano l’asfalto che fuggiva sotto le ruote. Dopo l’ennesimo litigio, Sergio Evani stava sfogando la rabbia nell’unico modo che conosceva: sbattuta la porta di casa, aveva inforcato la sua fedele Aprilia e si era lanciato in una folle corsa, lasciando che fosse il rombo del motore a cancellare le invettive del padre.
In breve tempo, raggiunse la spiaggia. Era lì che andava a rifugiarsi ogni volta che sentiva il bisogno di fuggire dai suoi problemi. Incurante delle difficoltà che avrebbe avuto a riportare la moto sulla strada, attraversò l’intera spiaggia fermandosi solo quando, quasi in riva al mare, la ruota posteriore iniziò a girare a vuoto nella sabbia. Sergio si slacciò il casco e lo gettò via con stizza. Rabbrividì sotto la sferzata del vento freddo che spazzava la battigia. Cominciava a imbrunire e le ombre che calavano accrescevano la sua disperazione.
I grandi occhi grigi si guardarono intorno: nuvole nere si addensavano nel cielo preannunciando la pioggia. Il mare sembrava urlare la sua rabbia mentre le onde, frangendosi con violenza, sollevavano tutto intorno spruzzi gelidi.
Sergio adagiò la moto su un fianco, nella sabbia, e si lasciò cadere stringendo le gambe tra le braccia. Si sentiva disperatamente solo.