Arrivò ad Ascoli che era ora di pranzo. Le avevano consigliato di parcheggiare all’ex Gil, un parcheggio sotterraneo situato proprio alle porte della città che le avrebbe permesso di raggiungere il centro in pochi minuti. Aiutandosi con il navigatore, trovò l’area di sosta senza difficoltà, parcheggiò e si incamminò verso la città. Non aveva alcuna fretta, il suo lavoro sarebbe iniziato l’indomani per cui poteva godersi la passeggiata e quei luoghi a lei poco noti.

Ida Gerasi, a soli ventotto anni, era tra i migliori architetti del Fondo HS e, quando si era presentata l’opportunità di valutare il potenziale recupero di uno dei più antichi palazzi nobiliari di Ascoli, la scelta era immediatamente caduta su di lei.

Mentre attraversava Ponte Nuovo, si fermò ad ammirare la struttura articolata su tre grandi arcate e i conci squadrati di travertino che arricchivano l’opera muraria. Notò lo stemma della città che decorava l’arcata centrale e valutò che nulla era stato lasciato al caso. Si sporse dal parapetto e, in lontananza, scorse il punto di confluenza tra il fiume Tronto e il torrente Castellano. Scattò diverse foto con la sua Reflex, senza dimenticare di immortalare anche Porta Tufilia e il ponte di Sant’Antonio nelle immediate vicinanze.

In pochi minuti raggiunse corso Trieste e Trento e non le fu difficile trovare il B & B che le avevano prenotato. Fu ricevuta dal proprietario, a cui aveva telefonato appena giunta ad Ascoli, una persona che le parve subito molto disponibile che l’aspettava davanti al portone di un palazzo storico e che dopo averla salutata con cordialità la guidò attraverso un chiostro, che le spiegò risalire al XV secolo, per poi raggiungere l’appartamento al primo piano dove era situata la sua sua stanza.

La struttura presentava un ampio salone d’ingresso con due comodi divani, una confortevole cucina utilizzabile a qualsiasi ora e tre grandi camere da letto. A Ida era stata riservata la “camera classica” con letto matrimoniale, un tavolino e un comodo divano. Il balcone dava sul corso e il sole che entrava nella stanza era piacevole per il tepore e la luce che regalava.

Sistemò le poche cose che aveva portato con sé, quindi uscì per trovare un posto dove consumare un pasto veloce. Bighellonò per le rue del centro, cercando un locale tranquillo e alla fine decise di fermarsi al bar Sestili, un piccolo caffè con tavolini all’esterno che prometteva una cucina semplice e tradizionale.

Un cameriere gentilissimo e il desiderio di rilassarsi la convinsero ad andare oltre il veloce brunch che si era ripromessa e di lì a poco si trovò a gustare le favolose olive ascolane e un piatto di anelli di pasta con passato di spinaci, taleggio e nocciole tritate che accompagnò con della birra artigianale che si rivelò ottima.

Andò via soddisfatta, prendendo mentalmente nota del locale, sicuramente da visitare ancora e consigliare agli amici.

Ida decise di passeggiare un po’ nei dintorni e magari di raggiungere il palazzo che avrebbe dovuto visionare il giorno successivo. Raggiunse piazza del Popolo che si trovava a pochi metri e si fermò qualche istante per ammirare quella veduta di insieme che il suo occhio allenato riusciva a cogliere in ogni sfaccettatura. Il perimetro della grande piazza era delimitato dall’imponente facciata del Palazzo dei Capitani, dalle forme gotiche della chiesa di San Francesco e da una serie di palazzetti rinascimentali a portici e logge, tutto in perfetta armonia. La pavimentazione in travertino levigato rendevano l’intera piazza molto luminosa e Ida sorrise mentre cercava di immaginare il suggestivo effetto a specchio che si sarebbe ottenuto in caso di pioggia.

Ida continuò la sua passeggiata, servendosi del suo ottimo senso dell’orientamento e delle indicazioni che le erano state date per arrivare al palazzo, e nel giro di pochissimi minuti se lo trovò alla sua sinistra, triste e sontuoso come le era stato descritto. Il palazzo era abbandonato da anni e il degrado era visibile, ma non se ne poteva negare la bellezza e la sontuosità che ancora mostrava la sua struttura cinquecentesca.

La posizione strategica, nel centro medievale e a pochi passi dalle piazze più importanti della città, e il recupero dell’edificio, da trasformare poi in una residenza sociale, era certamente da considerare un ottimo investimento per tutti.

Ida raggiunse il portone principale e si pose sul lato opposto della strada per ammirare i fregi che lo adornavano. Sentì una forte attrazione per quell’antico palazzo che le sembrò diversa da quella puramente professionale che solitamente provava quando, nel suo lavoro, si trovava a contatto con la storia e l’arte. Sorrise tra sé e scosse appena il capo, pensando che forse era il caso di cominciare a farsi attrarre da una bel giovane piuttosto che da un vecchio, seppur bello, palazzo.

Il mattino dopo, Ida si preparò con cura e raggiunse il Caffè Meletti, dove alle dieci avrebbe incontrato il prof. Celani che le avrebbe fatto da guida nella visita al palazzo.

Il Caffè, con il suo stile liberty, si inseriva con eleganza nel contesto cinquecentesco di Piazza del Popolo e Ida dovette convenire con chi glie lo aveva descritto con enfasi, decantando lo stile e l’architettura.

Era in anticipo, per cui si sedette a uno dei tavolini esterni dove fu subito raggiunta da un sorridente cameriere che le porgeva il menù.

«Buongiorno!» la salutò con cordialità.

«Buongiorno.» rispose Ida e intanto diede una scorsa veloce al menù prima di aggiungere: «Prenderei un caffè con panna e un cornetto farcito con crema pasticcera.»

Il cameriere prese nota e si allontanò per tornare dopo cinque minuti con la colazione richiesta.

Ida gustò con calma il suo caffè e apprezzò il cornetto la cui crema, certamente fatta “in casa”, era davvero notevole. Terminata la colazione, prese dalla borsa lo smartphone, controllò le diverse notifiche e, dopo essersi accertata di non aver ricevuto alcun messaggio importante, si dedicò alla posta. La maggior parte delle email riguardavano il lavoro; ne prese mentalmente nota, riservandosi di rispondere a ognuna quello stesso pomeriggio.

Mentre rimetteva a posto il cellulare, notò che l’orologio sul display indicava le dieci e dodici. Per abitudine, verificò il suo orologio da polso; non c’erano dubbi: il professore era in ritardo. Sbuffò appena, mentre si guardava intorno sperando di vedere qualcuno dirigersi verso il Caffè. Provò a immaginare la persona che doveva incontrare; si aspettava di trovarsi davanti un uomo di mezza età, dalla corporatura imponente e con i capelli brizzolati. Il ritardo all’appuntamento le fece presupporre che fosse molto preparato, ma arrogante e presuntuoso.

Il ritardo aumentava e Ida fu sul punto di andar via; avrebbe poi chiamato l’ufficio per comunicare che all’appuntamento il professore non si era presentato. Fece quindi un cenno al cameriere per farsi portare il conto.

«Mi scusi, signora,» disse il giovane mentre le porgeva lo scontrino «lei è la segretaria dell’architetto Gerasi?»

Ida alzò gli occhi dal portafoglio e lo fissò incuriosita.

«Io sono l’architetto Gerasi.» sottolineò e gli porse una banconota.

«Solo un attimo; le porto il resto e… una cosa che hanno lasciato per lei.»

La giovane donna seguì con lo sguardo il cameriere, interessata. Un attimo dopo era di ritorno; le porse il resto, quindi le consegnò due chiavi: una moderna, a doppia mappatura, l’altra, più datata, in ferro battuto, lunga circa 13 centimetri e con la parte superiore ad anello.

Prima che Ida potesse fare domande, il giovane chiarì ogni cosa.

«Il professor Celani le ha lasciate per lei. Ha avuto un contrattempo e ha preferito incaricare noi di consegnarle le chiavi in modo che potesse fare il suo lavoro senza intralci.»

«Avrei preferito almeno una telefonata.» rispose Ida con disappunto «Ma lei non ha nessuna colpa. Anzi, la ringrazio per il disturbo che si è preso.»

Si alzò, raccolse le sue cose e fece per andarsene.

«Conosce il palazzo? Vuole che l’accompagni?» le chiese il cameriere con sollecitudine.

«No, non è necessario.» Ida gli regalò un sorriso per non sembrare scortese «Sono già stata lì ieri per vedere l’esterno. Grazie, però, per la sua cortesia.»

Ida attraversò la piazza e in pochi minuti raggiunse il palazzo. Si fermò davanti al grande portone e ne ammirò le linee e i decori che lo sormontavano, quindi si avvicinò e confrontò la serratura con le chiavi che le erano state consegnate. C’era ancora la serratura originale e in buone condizioni; appena più in basso era stata aggiunta una seconda serratura di ultima generazione. Aprì prima quest’ultima, quindi usò la vecchia chiave per accedere all’interno.

Si trovò in un grande cortile fatiscente, ma l’occhio esperto di Ida non potè fare a meno di riconoscere la sontuosità del palazzo. e il valore storico che ne derivava. Raggiunse il portone di accesso all’appartamento e si fermò perplessa: non aveva altre chiavi; come sarebbe entrata? Con sua sorpresa, però, scopri che il portone non aveva né serratura né chiave, solo una maniglia di ottone.

Entrò, facendo stridere i cardini, e si ritrovò in un grande salone arredato con pochi e vecchi mobili, forse anche di gran valore. Incurante della polvere annosa che le si attaccava ai vestiti, si avvicinò a una finestra e l’aprì, illuminando l’ambiente tetro. Sulla parete alla sua sinistra, un dipinto attrasse la sua attenzione; si avvicinò e la studiò con attenzione. Un giovane dall’aria superba e dallo sguardo ironico e penetrante la fissava dalla tela scrostata. Era certamente il figlio degli antichi proprietari e lei fu contenta di non essere vissuta in quel tempo e di non aver dovuto incontrare quell’uomo così chiaramente pieno di sé.

Si guardò intorno, sempre più attratta da quanto la circondava, e ammirò le travi di legno degli antichi solai, le strutture portanti in pietra, i soffitti decorati. Riusciva a immaginare la bellezza degradata dal tempo e dall’abbandono e le si strinse il cuore al pensiero che l’edificio dovesse essere destinato all’housing sociale. Si sorprese subito di quel pensiero; quello era il suo lavoro e, seppure nel rispetto dei vincoli urbanistici e da quelli che sarebbero stati gli orientamenti della Soprintendenza dei beni Culturali, il palazzo sarebbe stato restaurato e destinato alla realizzazione di appartamenti.

Ida si avvicinò a un grande specchio e fissò la sua immagine riflessa, l’immagine dell’architetto Gerasi, seria, professionale, senza grilli per la testa, che pensava solo alla carriera. Era una bella donna e molti erano gli uomini che la corteggiavano, ma lei si sentiva sposata con il suo lavoro che la portava spesso in giro e per questo non desiderava avere legami.

«Non hai ancora trovato l’uomo giusto che ti fa battere il cuore.» la canzonava la sua migliroe amica, ma Ida continuava a ripetere di star bene da sola e che i rapporti sentimentali erano solo portatori di rogne.

D’improvviso, apparsa dal nulla, un’altra figura apparve nello specchio e la fissò attraverso la superficie riflettente. Ida gridò e si voltò di scatto, mentre l’uomo del ritratto, ora fermo dinanzi a lei, continuava a fissarla con espressione canzonatoria.

«Buongiorno, architetto» le disse, cercando di soffocare una risata «Mi spiace averla spaventata. Era così immersa nei suoi pensieri che non mi ha sentito mentre la chiamavo da fuori.»

«Lei sarebbe?» Il tono di Ida non era affatto divertito, né tantomeno amichevole.

«Professor Roberto Celani. Le chiedo scusa per il ritardo, ma mi faceva piacere che lei entrasse e iniziasse a guardarsi intorno da sola.»

«Ida Gerasi.» si presentò la donna tendendogli la mano «Ma lei, ovviamente, lo sa già.»

Il professore le strinse la mano, mentre lei cercava di ricordare come se lo era immaginato: una persona di mezza età, dalla corporatura imponente e con i capelli brizzolati. Si trovava, invece, al cospetto di un giovane poco più che trentenne, alto, bruno e con profondi occhi neri. Doveva ammettere che era davvero un bel ragazzo, ma le risultava odioso quanto l’antenato del dipinto.

«Bene, professore, se vogliamo dare un’occhiata al resto del palazzo…» Ida cercò di essere distaccata e professionale; non voleva che Roberto pensasse di potersi prendere gioco di lei.

Il giovane accettò di buon grado e le fece strada su per la scala di marmo che una volta doveva essere bianchissimo, ma che appariva sporca e malridotta come il resto.

Al piano superiore tutte le finestre erano prive di elementi oscuranti e la luce inondava le stanze. La donna ammirò ancora affreschi rovinati dal tempo e dall’incuria, mobili in cattivo stato che dovevano avere un gran valore. Si rendeva conto che, più prendeva coscienza di ciò che doveva essere stato quel palazzo, più le diventava inaccettabile l’idea di doverlo trasformare in un moderno edificio destinato ad abitazione sociale. Cercò di scacciare via quel pensiero. Quello era il suo lavoro e lo avrebbe fatto al meglio, come sempre.

«Ci sono un bel po’ di lavori da fare,» disse più a se stessa che al professore «ma nel giro di un anno il palazzo sarà pronto per iniziare una nuova vita. Ne ricaveremo degli appartamenti moderni con…»

«Tu sei pazza!» la assalì Roberto, passando al tu senza neppure rendersene conto.

«Chi ti credi di essere per rivolgerti a me con questi toni?» Anche Ida, suo malgrado, si trovò ad alzare la voce, abbandonando i toni professionali «Sono qui per svolgere il mio incarico e non sarai tu a rovinare un così ambizioso progetto.»

«Ti chiedo scusa; non volevo essere maleducato. Ma davvero pensi che questo palazzo debba diventare un agglomerato di appartamenti e perdere tutto il suo valore?»

Ida sospirò. No, non lo pensava, ma era quello che sarebbe accaduto.

«Quando è stato interpellato il Fondo HS, sapevi che sarebbe accaduto questo. Possiamo cercare di mantenere quanto più possibile certi aspetti decorativi, ma comprenderai che le giovani coppie a cui saranno destinati gli appartamenti non apprezzeranno troppi richiami rinascimentali e barocchi.»

Roberto si era allontanato verso una delle finestre e rimase qualche minuto in silenzio a fissare il cortile.

Ida si guardò intorno. La stanza doveva essere stata la camera da letto di una donna; lo si capiva dalla consolle con il grande specchio decorato e le diverse boccette di cosmetici che ancora facevano bella mostra, nonostante la coltre di polvere che ricopriva il tutto.

«Non possiamo distruggere tutti questi tesori.» La voce di Roberto sembrò arrivare da lontano e Ida si voltò verso di lui, cogliendone lo sguardo addolorato.

«Sei molto legato a tutto questo, lo comprendo. La tua famiglia doveva essere molto ricca e aveva molto gusto.»

«La mia cosa?» Roberto rise, poi comprese l’equivoco «Hai visto il quadro, giusto. No, non è come credi. Non sono un discendente del marchese; l’uomo che mi assomiglia tanto era cugino di secondo grado di una mia antenata; aveva sposato la figlia dell’allora proprietario del palazzo.»

«Allora non sei il proprietario.» Ida non nascose la propria sorpresa «Perché quindi hai tanto a cuore il palazzo?»

«Questa è la mia città e non voglio che un pezzo di essa possa andare distrutta. Questo palazzo è stato abbandonato al proprio destino e il Comune vuole farlo rientrare in una sorta di risanamento che permetta di creare nuove unità abitative senza rovinare l’aspetto storico del luogo. Ma in questo modo, stiamo comunque distruggendo un patrimonio. Avevo chiesto di te, perché pensavo fossi diversa dai soliti architetti interessati solo ai loro progetti.»

«Avevi chiesto di me? Non è un caso, allora, la mia presenza. Come facevi a sapere di me?»

Il giovane ignorò la sua domanda.

«Ora devo andare, ho un altro appuntamento. Vorrei, però, che tu restassi ancora un po’. Guardati intorno, apri ogni cosa, se vuoi. Desidero che tu possa darmi un tuo parere, al di là del tuo lavoro per il Fondo. Stasera ho prenotato un tavolo da Meletti, sarai mia gradita ospite a cena e ne riparleremo.»

Ida accettò con un cenno del capo

«Ti aspetto per le 21.» Fu il commiato di Roberto.

La giovane donna rimase nella grande camera da letto, perplessa. Comprendeva i sentimenti del giovane e li condivideva, anche se questo la rendeva meno obiettiva per quanto riguardava il progetto che il Fondo le aveva affidato.

Visitò il resto della casa. Il senso di abbandono era opprimente, eppure continuò ad aprire porte, ad accarezzare mobili e suppellettili, incurante della polvere che si era ormai infiltrata fin sotto gli abiti.

Tornò nella camera da letto da cui era partita, si sedette sul letto e accarezzò la seta sporca e lisa che lo ricopriva. Sul comodino, un libro attrasse la sua attenzione. Lo prese e, con delicatezza, cercò di liberarlo dallo strato di polvere che lo ricopriva. Era un volume di poesie, ma non conosceva l’autore; non aveva mai amato particolarmente la poesia. Iniziò a sfogliarlo, a leggere qualche verso e pensò che forse non era un genere letterario così malvagio. Si accorse che qualcosa era stata posta tra le pagine, forse un segnalibro. Aprì il libro in quel punto e trovò una piccola chiave. Si alzò e si guardò intorno, cercando di capire cosa potesse aprire. Lo sguardo cadde sul piccolo scrittoio accanto alla finestra: il cassetto aveva una serratura. Provò la chiave e riuscì ad aprirlo senza difficoltà. Il contenuto non la sorprese: penne, carta da lettera, un piccolo calamaio con l’inchiostro ormai secco. In un angolo notò un pacco di lettere legate da un nastro di raso color pervinca. Le prese, richiuse il cassetto e prese posto sulla sedia davanti allo scrittoio. Sciolse il nastro e sparse sul piccolo ripiano le lettere. Le sembrava di violare la privacy della nobildonna, ma la curiosità ebbe il sopravvento e iniziò a leggere quei fogli ingialliti scritti con una grafia fitta e minuta che le sembrava di conoscere.

Rimase lì per ore, leggendo e mettendo insieme pezzi di una storia già sentita. Stava recuperando i pezzi di un puzzle che non avrebbe mai pensato di poter completare. Lesse di una storia d’amore impossibile, di una figlia ripudiata perché aveva voluto seguire l’uomo che amava contro il volere del padre. Ricordò sua nonna che le raccontava la favola della principessa che, innamorata dello scudiero, lasciò il castello e non tornò più a casa. Date, nomi, fatti, tutto coincideva. Forse era per questo che dal primo istante quel palazzo le aveva trasmesso strane emozioni. Anche lei, come Roberto, era indirettamente legata a quella casa.

Ripensò a sua nonna, a quello a cui aveva rinunciato senza mai pentirsene, a quanto grande doveva essere stato l’amore che l’aveva legata al suo uomo.

Ida si accorse che stava piangendo, forse per sua nonna, forse per se stessa che a ventotto anni ancora non aveva conosciuto quell’amore così grande da farti rinunciare a tutto.

Si asciugò le lacrime e scese nel grande salone; guardò ancora i quadri e si rammaricò al pensiero che probabilmente era stata fatta sparire qualsiasi foto o ritratto di quella figlia che aveva preferito l’amore alla ricchezza e al titolo nobiliare. Un foglio bianco poggiato sul camino attirò la sua attenzione. Era certa che prima non ci fosse stato, per cui lo prese e lesse le poche righe vergate con mano sicura: Spero tu abbia apprezzato tanta bellezza e che ne possa avere cura per tanti anni perché sei oggi l’unica erede di questa grande casa. Un notaio ti aspetta domani per firmare i documenti. Io, invece, ti aspetto a cena.

Sentì il bisogno di aria e uscì nel cortile, dove il tempo sembrava essersi fermato. Alzò lo sguardo verso la casa e un sorriso le illuminò il viso.

Domani avrebbe scritto una email al Fondo, spiegando che rinunciava all’incarico perché non concorde alla distruzione di un patrimonio artistico. Forse avrebbero chiesto le sue dimissioni, ma non le importava. Domani avrebbe incontrato il notaio che le avrebbe confermato la storia dell’eredità. Da domani avrebbe iniziato a pensare di più a se stessa, alla sua vita. Domani… Ora doveva andare in albergo, darsi una ripulita e prepararsi alla serata con Roberto.

Categorie: Premi

Annamaria Marconicchio

Annamaria Marconicchio

Nasce a Napoli il 26 maggio 1959 e fin da bambina mostra grande interesse per la lettura e la scrittura. Il suo sogno di diventare giornalista si infrange a causa delle difficoltà familiari che la spingono verso studi tecnici e un lavoro amministrativo. Non perde, però, la voglia di scrivere che la porta a partecipare a diversi concorsi letterari con discreti riconoscimenti. Nel 2014 pubblica in self publishing l’autobiografia “Tra i vicoli della mia infanzia”, scritta a quattro mani con il cugino Gelsomino, e nel 2015, con la Casa Editrice Marcelli, pubblica in ebook il romanzo “Come un granello di sabbia”. Nel 2016 approda presso la casa Editrice Le Mezzelane con cui ha partecipato a diverse iniziative con pubblicazione in antologie e che, a breve, pubblicherà la sua raccolta di racconti e poesie “Fogli sparsi”.

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